Introduzione
Con il termine ingegnere nell’uso corrente, è appellato chiunque sia laureato in ingegneria. Come titolo e appellativo è usato di norma nella forma maschile anche se riferito a donna. Il femminile regolare di ingegnere, tuttavia, è ingegnera, e così si può chiamare una donna che eserciti il mestiere di ingegnere. Molti preferiscono però chiamare una donna ingegnere, al maschile. Si tratta di una scelta che non ha basi linguistiche ma sociologiche.
Nell’uso corrente, quindi, ingegnere è sinonimo di laureato in ingegneria ma si sa che sovente ciò che è consuetudine non è detto sia corretto e se proviamo a effettuare una ricerca nei principali vocabolari di lingua italiana troviamo che ingegnere, dal punto di vista lessicale, è un nome derivato da ‘ingegno’ nel significato di ‘congegno, meccanismo’ e che la definizione più ricorrente, è in senso stretto: “chi, fornito di laurea in ingegneria e di abilitazione all’esercizio di tale professione, progetta, organizza e dirige le costruzioni .….”.
Sembrerebbe, quindi, che la laurea da sola non basti e che occorra anche l’abilitazione all’esercizio della professione.
Se, poi, approfondiamo la ricerca e diamo uno sguardo a Internet, si scopre che il tema è oggetto di ampie e a volte accalorate discussioni e ci si imbatte in chi sostiene che può dirsi ingegnere solo chi è iscritto ad uno degli Ordini provinciali degli Ingegneri.
Chi può fregiarsi, dunque, del titolo di ingegnere o ingegnera, chi è laureato, chi è abilitato all’esercizio della professione o chi è iscritto all’albo?”
Il concetto di titolo
Cos’è un titolo? In generale un titolo o qualifica è l’appellativo che spetta a una persona per il suo grado, per gli studi compiuti, per l’attività che esercita, per meriti particolari: titolo militare (generale, colonnello, capitano), titolo accademico (dottore in, professore), cavalleresco (cavaliere della Repubblica, cavaliere del lavoro, cavaliere del sacro ordine…), titolo professionale (medico, avvocato, ingegnere), titolo nobiliare (marchese, principe, re); e per estensione, con titolo si intende anche ogni documento che comprovi il diritto a ricevere un determinato appellativo.
Il rilascio e l’uso di titoli è regolato dalla L. 13 marzo 1958, n. 262 rubricata “Conferimento ed uso di titoli accademici, professionali e simili”. L’articolo 1 recita: «Le qualifiche accademiche di dottore, compresa quella honoris causa, le qualifiche di carattere professionale, la qualifica di libero docente possono essere conferite soltanto con le modalità e nei casi indicati dalla legge». E l’art.2: “Chiunque fa uso, in qualsiasi forma e modalità, della qualifica accademica di dottore compresa quella honoris causa, di qualifiche di carattere professionale e della qualifica di libero docente, ottenute in contrasto con quanto stabilito nell’articolo 1, è punito con .…”.
Pertanto per rispondere alla domanda su chi possa utilizzare il titolo professionale di ingegnere occorre verificare a chi la legge conferisce il titolo in argomento. Seguiremo un ordine cronologico.
Disciplina della professione di ingegnere
Inquadramento storico legislativo
La legge istitutiva della professione di ingegnere (e di architetto) e dell’Ordine degli ingegneri è la legge 24 giugno 1923, n. 1395, “Tutela del titolo e dell’esercizio professionale degli ingegneri e degli architetti” (tuttora vigente). L’art.1 recita: “Il titolo di ingegnere e quello di architetto spettano esclusivamente a coloro che hanno conseguito i relativi diplomi degli istituti di istruzione superiore autorizzati per legge a conferirli”.
Con l’entrata in vigore del provvedimento, pertanto, per poter utilizzare il titolo di Ingegnere era richiesto il solo possesso del diploma di ingegnere conseguito presso un istituto di istruzione superiore autorizzato per legge a rilasciarlo. Con l’art.2 della citata norma inoltre era istituito l’Ordine degli ingegneri costituito dagli iscritti all’albo di ogni provincia e con l’art. 3 veniva stabilito che “sono iscritti nell’albo coloro ai quali spetta il titolo di cui all’art. 1, che godono del diritti civili e non sono incorsi in alcuna delle condanne di cui…”. In altri termini non era richiesta l’abilitazione per potersi iscrivere all’albo e l’unico requisito per la “spendita” del titolo di ingegnere era il possesso del diploma a prescindere dall’iscrizione o meno all’albo.
Si noti altresì che inizialmente (art.4) l’iscrizione all’albo era prescritta al solo effetto del conferimento di incarichi da parte dell’autorità giudiziaria e delle pubbliche amministrazioni e che solo con i provvedimenti legislativi successivi, l’iscrizione all’albo diventa uno degli strumenti attraverso i quali si realizza la tutela della professione e si rende indispensabile in considerazione del preminente interesse che riveste per la collettività l’accertamento dei requisiti di capacità e preparazione tecnica del professionista.
Nel settembre del 1923, a tre mesi circa dalla pubblicazione della legge istitutiva della professione di ingegnere, veniva emanato il regio decreto 30 settembre 1923, n. 2102, che marca il confine tra i titoli accademici e quelli professionali, introducendo l’abilitazione all’esercizio della professione. Il “Capo II — Dei titoli accademici e degli esami di Stato” stabilisce che “Le lauree e i diplomi conferiti dalle università e dagli istituti hanno esclusivamente valore di qualifiche accademiche” (art. 4) e che “L’abilitazione all’esercizio professionale e’ conferita in seguito ad esami di Stato, cui sono ammessi soltanto coloro che abbiano conseguito presso università o istituti … la laurea o il diploma corrispondente.”.
Circa tre mesi dopo, con il regio decreto 31 dicembre 1923, n. 2909, “Disposizioni concernenti gli esami di Stato” si stabiliva (art. 1) che per esercitare la professione di ingegnere è necessario superare l’esame di Stato. E con il testo unico delle leggi sull’istruzione superiore, regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592, si ribadiva (art.172) che: “Le lauree e i diplomi conferiti dalle Università e dagli Istituti superiori hanno esclusivamente valore di qualifiche accademiche. L’abilitazione all’esercizio professionale e’ conferita in seguito ad esami di Stato…”.
Ne consegue che da allora in avanti il possesso della laurea (o diploma) non è più sufficiente per potersi appellare “ingegnere” poiché alla laurea è riconosciuto il valore di mero titolo accademico. Il titolo, inteso come documento, che comprova il diritto a ricevere l’appellativo di ingegnere, è l’abilitazione all’esercizio della professione di ingegnere conferita in seguito ad esami di stato.
Per completezza diremo che alla legge istitutiva della professione di ingegnere, seguì il regolamento applicativo, approvato con r.d. 23 ottobre 1925, n. 2537, “Regolamento per le professioni di ingegnere e di architetto” che all’art. 4, richiamando la normativa su citata, previde che “Per essere iscritto nell’albo occorre aver superato l’esame di Stato per l’esercizio della professione di ingegnere e di architetto”. Successivamente veniva emanata la legge 25 aprile 1938, n. 897 che allo scopo di conseguire una maggiore tutela del titolo e dell’esercizio della professione stessa, dettò l’obbligo dell’iscrizione agli albi per le professioni regolamentate. L’art.1 recita che “Gli ingegneri, gli architetti, i chimici, i professionisti in materia di economia e commercio, gli agronomi, i ragionieri, i geometri, i periti agrari ed i periti industriali, non possono esercitare la professione se non sono iscritti negli albi professionali delle rispettive categorie a termini delle disposizioni vigenti”.
Gli esami di stato sospesi nel 1944, furono riattivati con la legge 8 dicembre 1956, n. 1378.
Tornando alla questione del titolo, possiamo riassumere affermando che il titolo di ingegnere competeva a coloro che superato l’esame di Stato previsto dal r.d. 31–8‑1933, n. 1592 e dalla legge 8-12-1956, n. 1378, conseguivano l’abilitazione all’esercizio della professione (cfr De Santis, «Ingegnere e architetto» in “Novissimo Digesto italiano”, diretto da A. AZARA e E. EULA, vol. VIII, Torino, UTET, 1962, pp. 660–662).
L’esame di Stato è sancito anche dall’art. 33 della Costituzione della Repubblica italiana:“E’ prescritto un esame di Stato per … l’abilitazione all’esercizio professionale.
Si noti che, così come prima dell’introduzione dell’esame di stato, era richiesto il solo diploma per poter utilizzare il titolo e non anche l’iscrizione all’albo, necessaria invece per poter esercitare la professione, alla stessa stregua il solo possesso dell’abilitazione consentiva di adoperare il titolo di ingegnere anche senza l’iscrizione all’albo che continuava però, e continua anche oggi, ad essere necessaria per poter esercitare la professione.
A questo punto è d’obbligo una riflessione. E’ opportuno notare che il codice penale all’art. 498 descrive il delitto di usurpazione di titolo come l’uso abusivo del titolo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato. Questo confermerebbe ancora una volta la necessità della sola abilitazione per l’uso del titolo e non anche dell’iscrizione all’albo. La ratio, tuttavia, dell’art. 498 è che il legislatore abbia voluto tutelare la fede pubblica contro quei comportamenti che alterano gli elementi identificativi di una persona o le sue qualità personali. Tizio potrebbe affidare un incarico professionale a Caio ingannato dal fatto che quest’ultimo usa il titolo di ingegnere pur non avendone i requisiti. Il codice penale protegge cioè il titolo (di ingegnere nel caso specifico) solo in quanto attraverso esso è consentito esercitare una professione. Ma ciò è possibile per un ingegnere solo se è iscritto all’albo. Da queste considerazioni discendeva la conclusione, a cui molti giungevano, secondo la quale il titolo di ingegnere potesse essere usato solo da chi fosse iscritto all’albo. Conseguentemente il laureato in ingegneria che non era iscritto all’albo aveva diritto solo al titolo accademico di dottore in ingegneria anche se in possesso di abilitazione.
Le novità introdotte dal DPR 5 giugno 2001, n.328
Abbiamo sin qui usato l’imperfetto, (il titolo competeva, bastava l’abilitazione etc.) perché il d.P.R. 5 giugno 2001, n. 328, avente ad epigrafe “Modifiche ed integrazioni della disciplina dei requisiti per l’ammissione all’esame di Stato e delle relative prove per l’esercizio di talune professioni, nonché della disciplina dei relativi ordinamenti” ha profondamente innovato la previgente normativa spazzando via ogni dubbio interpretativo circa l’attribuzione del titolo. In particolare il Capo IX — Professione di Ingegnere - art. 45 (Sezioni e titoli professionali) ha previsto al secondo e terzo comma:
2. Agli iscritti nella sezione A (n.d.r dell’Albo) spettano i seguenti titoli professionali:
a) agli iscritti al settore civile e ambientale, spetta il titolo di ingegnere civile e ambientale;
b) agli iscritti al settore industriale, spetta il titolo di ingegnere industriale;
c) agli iscritti al settore dell’informazione, spetta il titolo di ingegnere dell’informazione.
3. Agli iscritti nella sezione B spettano i seguenti titoli professionali:
a) agli iscritti al settore civile e ambientale, spetta il titolo di ingegnere civile e ambientale iunior;
b) agli iscritti al settore industriale, spetta il titolo di ingegnere industriale iunior;
c) agli iscritti al settore dell’informazione, spetta il titolo di ingegnere dell’informazione iunior.
Ne risulta che il titolo di “ingegnere” che sino a quel momento, a norma dell’allora vigente disciplina della professione, non era accompagnato da alcun attributo che specificasse una particolare e specificata competenza legata alla formazione accademica, è sostituito dai titoli di ingegnere civile e ambientale, ingegnere industriale, ingegnere dell’informazione. Possono fregiarsi di tali titoli solo gli iscritti all’albo che per iscriversi devono aver superato i rispettivi esami di stato, distinti per ciascuno dei tre settori. Ai precedenti ingegneri, agli abilitati cioè secondo la precedente normativa, la legge ha dato facoltà di iscriversi a tutti e tre i settori e quindi possono fregiarsi di tutti e tre i titoli anzidetti.
Al riguardo il Consiglio Nazionale degli Ingegneri con la circolare 383/XVII del 26 gennaio 2011, avente ad oggetto: “Titolo accademico e titolo professionale — informazioni da riportare sul timbro — indicazioni circa la distinzione e la corretta dizione con cui chiamare gli iscritti alle Sezioni A e B dell’albo — riepilogo della disciplina” è intervenuto per fare chiarezza, specificando che “il titolo professionale di ingegnere si consegue unicamente con l’iscrizione all’albo professionale” perché così dispone la legge.
Si vuole infine precisare che l’intervento del Consiglio Nazionale degli Ingegneri non può essere letto, come alcuni fanno, come un’azione di parte intesa a favorire l’iscrizione all’albo ma è un provvedimento emanato nella competenza. Giova, infatti, ricordare che L’Ordine è un ente pubblico non economico, sottoposto alla vigilanza del Ministero della Giustizia e posto a tutela della collettività e di terzi, facente capo al Consiglio Nazionale degli Ingegneri e avente la finalità pubblicistica di garantire la qualità delle attività svolte dai professionisti. Fra i compiti istituzionale che la legge attribuisce all’Ordine vi è proprio “La tutela del titolo e dell’esercizio professionale”.
Conclusioni
Dall’esame svolto si evince come il diffondersi di tre possibili risposte alla domanda “a chi spetta il titolo di ingegnere?” (al laureato in ingegneria, all’abilitato all’esercizio della professione, all’iscritto all’albo) trova giustificazione nell’evoluzione storica della disciplina che regola la materia; ci sono stati, infatti, periodi temporali in cui ciascuna delle tre risposte è stata esatta.
In conclusione, secondo il vigente quadro normativo (d.P.R. 5 giugno 2001, n. 328), il titolo di Ingegnere spetta, oggi, a chi è iscritto all’Ordine degli Ingegneri nella sezione A dell’Albo unico nazionale mentre il titolo di Ingegnere iunior appartiene a chi è iscritto all’Ordine degli Ingegneri nella sezione B. Si tratta di un titolo professionale, legato cioè all’esercizio della professione, da non confondere con i titoli accademici. Relativamente a quest’ultimi, ai sensi dell’art. 13, comma 7 del D.M. n. 270/2004, a chi consegue la laurea triennale, la laurea magistrale (oppure la laurea vecchio ordinamento) o il dottorato di ricerca, compete, rispettivamente, il titolo di Dottore, Dottore Magistrale o Dottore di Ricerca.
Il requisito primario per l’iscrizione all’Albo è aver conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione di ingegnere a seguito del superamento del relativo esame di Stato, esame a cui si può essere ammessi solo dopo aver conseguito il titolo di Dottore Magistrale per la sezione A e di Dottore per la sezione B in una delle previste classi di laurea. Oltre al superamento dell’esame di Stato, per l’iscrizione nell’albo degli ingegneri occorre la cittadinanza italiana (o di uno Stato avente trattamento di reciprocità con l’Italia), una specchiata condotta morale (art. 2, l. n. 897 del 1938) , il godimento dei diritti civili, non aver riportato alcuna delle condanne di cui all’art. 28, prima parte, della legge 8–6‑1874, n. 1938, salvo riabilitazione.
Quanto al titolo comprovante il diritto a ricevere l’appellativo di Ingegnere, inteso come documento che attesta la capacità di esercitare una professione, questo continua ad essere individuato nell’abilitazione all’esercizio della professione (cfr http://www.quadrodeititoli.it) per il fatto che il titolo professionale di ingegnere (civile e ambientale, industriale o dell’informazione) si consegue mediante il superamento di apposito esame di Stato e si perfeziona con l’iscrizione all’albo professionale.